Dentro una encañada

Ripresa la via del fiume non poté esimersi dall’ammirare l’esplosione mozzafiato di jacaranda, cinnamomo e cibozio. L’acqua, in quel tratto, era lucida e rifletteva con generosità gli alberi e le foglie che vi si specchiavano.
“Alle 10 circa ant. entrammo in una encañada — una gola — chiamata Meñique. È questo un punto dove il fiume squarcia la catena dei colli che formano da una parte e dall’altra alte pareti a picco. Il fiume entra con violenza nello stretto canale, reso pericoloso da grosse pietre che spuntano dall’acqua nel mezzo, all’entrata e all’uscita dell’encañada. Con tutto ciò il passaggio del Meñique non sarebbe pericoloso, se il canale fosse rettilineo: invece presenta la forma di una Z, e se gli uomini non fossero pratici, sarebbe facilissimo sbattere contro le pareti laterali, o le pietre del mezzo, nel qual caso si capovolgerebbe il callapo o la balsa, come era successo a una di queste, pochi giorni prima, nel recarsi al Miguilla.”

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Qualcosa di fresco dentro di sé

Aiutato dal dondolio del callapo Luigi si assopì leggermente e, mentre la sua corteccia cerebrale gli rimandava le immagini delle cime innevate delle Ande e dell’infinita distesa orizzontale dell’Isla Inkawasi, venne svegliato da un forte vento e dalle voci concitate dei neofitos che, dopo aver passato indenni attraverso una piccola rapida, attraccavano sulla sponda sinistra, al riparo di un colle, quasi a picco sulla sabbia.
“Cessato il vento verso sera, i neofitos rizzarono la tenda e attesero a preparare la loro cena consistente in banane arrostite e pesce, piatti di tutti i giorni, con l’aggiunta speciale del cerbiatto. Il luogo ove ci trovavamo era chiuso da colli alti, e l’orizzonte assai limitato… Dopo cena gli Indiani pregarono e si coricarono e io li imitai sul letto di foglie che mi avevano preparato sotto la tenda”.

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Sette barche di balsa

Raggiunse Irupana e pochi giorni dopo partì “pei fiumi Bopi e Beni” per andare a visitare verso Oriente “le Missioni fra gli Indiani Mosetenes”.
Arrivò alla confluenza dei fiumi Miguilla e La Paz, in uno strano posto chiamato Espia e si meravigliò come un bimbo davanti ad alcuni terrapieni di forma piramidale che facevano capire quanto queste terre fossero impregnate di storia umana. Là — “sulla sabbia finissima e fra grossi ciottoli”, era stata sistemata una grande tenda vicino a cui “si vedevano ammucchiati i carichi destinati alla Missione di Covendo; parecchie casse e moltissimi recipienti di latta pieni di sale” — lo aspettava un vecchio frate missionario italiano assieme a sette callapi di balsa in secca.
L’indomani, quando la barca si staccò dalla sponda, Luigi ebbe subito l’impressione di andare a fondo. Ma fu solo un’impressione passeggera.

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Da Chulumani a Irupana

Il 19 Maggio partì da Chulumani per Irupana, “ottenendo questa volta le mule a buone condizioni: i carichi li avevo mandati due giorni prima”.
Lunghi muriccioli in rovina, casupole senza tetto, avanzi di cortili e di recinti fiancheggiavano la strada in pendio selciata al centro da grossi macigni.
“Da Chulumani a Irupana il viaggio è solo di sei leghe circa, ma sebbene breve, è assai pesante. Si scende dal paese per un cammino a zig-zag non troppo brutto fino a un torrentello chiamato Huajtata. Di lì si ascende per trecentocinquanta metri circa: poi si discende ancora per una strada piena di grosse pietre di quarzo, fino a un torrente un po’ più grande del primo, il Solacama. Vi è un ponte sospeso, ma siccome il torrente era basso passammo a guado…”

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1° marzo 1891

Luigi riprese il viaggio il 1° marzo 1891. La luce spuntava appena lungo i crinali grigi a oriente, e una fredda falce di luna era ancora sospesa sopra le montagne. Lontano, sotto di lui, le ombre delle nuvole risalivano lungo il fondovalle e poi diventavano quasi tutt’uno con la montagna, curvando i margini frastagliati come corallo verso la curva azzurra del cielo. Un visione chimerica, una sensazione di incredibile.
Seguendo le indicazioni di Manuel Vicente Ballivian, da La Paz si addentrò nelle provincia delle Yungas, zona di transizione fra gli aridi altopiani e le umide pianure. Puntò verso il Cerro Mururata e Santa Gertrudis discendendo gradualmente tra scoscese alture e terreni cinerei che dipingevano un quadro surreale fatto di aria sottile e orizzonti senza fine. E man mano che scendeva il nero delle rocce si trasformava lentamente nel verde dei pascoli e della rigogliosa vegetazione delle Yungas in cui spiccavano — come papaveri in un campo di margherite — achiote, assenzio, eucalipto ed erba di San Giacomo.

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Un taccuino

Mostrò con orgoglio anche un taccuino in cui aveva riportato descrizioni e poi annotato meticolosamente distanze, insenature e profondità dei diversi fiumi del Gran Chaco.
Sembrava desiderasse più di ogni altra cosa riportare alla luce storie che dessero spazio non solo al mondo visibile, ma anche alle vaste e misteriose forze inosservate che si celavano dentro quel mondo.
Con un carattere più sottile e minuto — e uno stacco nettissimo denunciato dall’impaginazione — aveva appuntato notizie sul Rìo Bermejo — e Luigi fu particolarmente attratto da queste note — che “nasce nel Perù e attraversa il Chaco da ponente a Oriente per circa trenta leghe, passa nella Valle de Las Salinas, in giurisdizione di Tarija, per poi entrare nelle Cordilleras, che dividono il Chaco dall’arcivescovado di Chuquisaca per dodici leghe con il nome di Lupo o Iticà, nei pressi dell’antica Guadalcázar…”.

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