Nei boschi gelidi

Camminare nei boschi gelidi, ancora senza foglie, può dare strane sensazioni. Gli alberi diventano neri quando il sole si leva alle loro spalle e sembrano forme incorporee simili a giganteschi elementi geometrici.
Mi fermo per prendere fiato, e mi guardo intorno. Scorgo qua e là i bassi capannoni in rovina della vecchia fabbrica d’esplosivi e i bianchi tetti in lamiera zincata delle casupole di spazzasuoni.
Oltrepasso i resti di un cancello crollato e scorgo una piccola radura dove c’è una capanna montata su una palizzata di legno che svetta sopra un piccolo mare di foglie secche. Più avanti c’è un libro appoggiato contro l’enorme radice di un tronco. Qualcuno sembra averlo dimenticato, mi dico. Stamattina, però, da queste parti non c’è anima viva. Mi chino verso destra per leggerne almeno il titolo. E’ il Diario di un imboscato di Attilio Frescura, un libro di cui ho sentito parlare, ma che non ho mai letto e forse per questo mi avvicino per sfogliarlo. Mi soffermo su una nota di Mario Rigoni Stern, che reputa illuminanti le pagine in cui Frescura documenta la ritirata di Caporetto.

Era la nostra storia che non volevano farci conoscere, la storia degli uomini e delle nazioni d’Europa nella grande guerra, che ora si cerca di ricostruire per la verità. Oggi i protagonisti sono scomparsi, rimangono le testimonianze e i documenti a farci meditare e per cercare di capire il fenomeno «guerra» che la ragione rifiuta e la coscienza non ammette.

Attilio Frescura, come lessi più tardi, era figlio di Angelo Frescura, uomo dal grande ingegno, considerato tra i fondatori dell’industria cadorina dell’occhiale. Dopo la morte del padre, nel 1886, venne mandato in collegio a Bergamo e poi all’accademia militare di Modena, da cui uscì con il grado di tenente. Si dedicherà in seguito a varie professioni e quando nel 1915 scoppia la guerra sarà arruolato nella Milizia Territoriale, una Riserva che mobilitava chi aveva superato i trentaquattro anni. Fu sempre al fronte e, dopo essere stato decorato con una medaglia d’argento al valor militare, una di bronzo e due croci di guerra, si congederà nel dicembre del 1918 con il grado di capitano.
Sembra che Frescura non conoscesse altro modo se non la scrittura per difendersi dai ricordi, che così spesso e così all’improvviso lo sopraffacevano.
Il Diario di un imboscato, dopo la prima edizione del 1919, ebbe altre tre ristampe, nel 1920, 1921 e 1930, ma cadde poi nel dimenticatoio per anni.
Ci pensò Rigoni Stern, diversi anni dopo, a suggerire all’editore Ugo Mursia di ripubblicare questo strano scrittore con un’illimitata passione per il narrare.
Frescura visse i primi periodi della guerra come un intellettuale futurista e interventista, ma non ci metterà molto a capire che la guerra diventa guerra molto in fretta.

11 giugno 1916, Altopiano di Asiago…
Oggi si fucilerà un sergente, reo «di non aver fatto la possibile difesa», abbandonando il campo di battaglia, presso il Turcio.
La sconfitta, il panico delle truppe accorrenti che per via vedevano, sentivano e intuivano la paurosa tragedia, il turbine dei generali «silurati» e dei comandi che si sovrappongono, ordinano e contrordinano, accusano e si accusano, tutto ciò porta un senso di sfiducia e di sconforto, al quale si reagisce con le fucilazioni sul campo, isolate e in massa. Un colonnello ne ha fatti fucilare una ventina, tra cui un sottotenente. Ne ha ricavato un encomio solenne dal comando supremo. L’uomo, condotto alla morte, tenta di fuggire, come una povera bestia inseguita dalla muta dei cani. La legge di guerra lo afferra e lo fucila. Si tengono le truppe con il terrore. «Salus patriae suprema lex». Ognuno, che è qui, vive nella tragedia.

Il suo Diario è per tanti versi un libro scomodo e non tace sulle incapacità dei comandanti come non tace sui soldati ubriachi che saccheggiano e bivaccano sulle rovine di Asiago o nel corso della ritirata da Caporetto.

Si gioca a scaricabarili, fra i diversi comandi. Nessuno vuole assumersi la grave responsabilità di tenere una linea con truppe sfinite, che non mangiano da più giorni, che combattono da giorni, che sono vinte da giorni.
I soldati, inzuppati d’acqua, affamati scorati abbrutiti girano per le case da cui la gente scappa, e saccheggiano. Ne passano alcuni trascinando un maialetto che strilla, o una vacca muggente, o una capra stupida e ostinata, o carichi di salami inverosimili, o di formaggi, con dei sigari che escono dalle tasche gonfie della più strana preda.

Il nostro battaglione genio, in attesa della nostra brigata che non dovrebbe tardare molto a giungere, ha barricato il ponte con vecchi mobili accatastati, tolti in fretta dalle case vicine, e con carri, e sta scavando febbrilmente una mina, per farlo saltare quando il nemico sarà per sopraffarci. Farlo saltare… se arriverà l’esplosivo, che si è richiesto al corpo d’armata.

Avanti alla barricata, accovacciata dietro una carriola, una vedetta attende.
Al ponte s’affacciano delle donne, che vogliono passare. Sono rimandate, inesorabilmente, e tenute lontane con il moschetto. Una di costoro supplica che ha i suoi bambini da questa parte. Inutile. E’ la guerra. La sua piccola disperazione si perde nella vastità della tragedia. Non vi è cuore. Vi è del fegato, quando ce n’è…
E’ la guerra questa. Quella che non avremmo sognato mai. La guerra in cui, battuti cacciati, abbandoniamo donne, uomini, bambini e cose, con il gesto rassegnato del buddista, che obbedisce al suo dio tiranno. E’ la guerra in cui si alza, angoscioso e immenso, il grido acutissimo degli inermi e degli innocenti. Quella in cui il loro sangue è commisto a quello del combattente.

Poso il libro dove l’ho trovato e mi siedo su una grande pietra che sembra una panchina gigante.
Mi immagino un grido in fondo a una trincea e il rimbombo di una fucilata, seguito da un secco colpo di pistola.
Non c’è nulla, nient’altro che la massa scura degli alberi appena visibile contro il blu quasi grigio del cielo a ponente.

(Marco Crestani)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Centro Culturale S. Antonio delle Fontanelle | Contrà Busa, 4 - 36062 Fontanelle di Conco (VI) | Tel: +39 0424 427098 | Email: info@priamoedit.it | Mappa del sito | Privacy policy