L’enigma nel nome, 1

(L’untore nella Peste di Camus)

Gli scrittori fanno ginnastiche incredibili quando danno nome ai loro personaggi. A volte ce ne nascondono la provenienza e una qualche simbologia, a volte esibiscono sia l’una che l’altra.

Ci sono state polemiche, e partiti presi, nella lettura ideologica, morale e politica di La Peste di Albert Camus. E sembrava ormai che il gioco fosse chiuso, e molto il silenzio di fronte a questo classico del 900.

Volendo guardar bene, qualcosa si vede che può cambiare la comprensione dell’opera e aiutare quella dell’autore. La chiave sta nel personaggio di Paneloux, e l’enigma anche.

Un padre gesuita, rigoroso, radicale, con tardivi fili di quella che si chiama pietà cristiana. Predicatore di fama.

A guardare bene, e sciogliendo l’enigma del nome, la peste è lui. Paneloux è l’anagramma di Πανούκλα (Panoukla). Camus conosceva per certo il greco classico, e in più aveva amici moderni, oltre ad aver studiato la storia del flagello in tutte le epoche e paesi.


Un piccolo anagramma potrebbe, a volerlo intensamente, restare confinato nell’ambito delle casualità “come ce ne sono tante”. Difficile ma possibile. Dettaglio convergente, o più che altro una curiosità: negli elenchi telefonici di Francia e Algeria non esiste un solo Paneloux. Non è adottato, è costruito.

Altre ipotesi di spiegazione del nome in questione appaiono rapidamente deboli, o molto di circostanza.

Ci sono invece, e direi soprattutto, alcune situazioni sospette nello sviluppo degli eventi e delle figure (almeno cinque incrinature) che sembrano illuminare – sostenere, confermare forse? – l’anagramma.

Una volta adocchiata – e sia pure in via provvisoria – una tale ottica, a rileggere questa cronaca della peste in Orano (Algeria, Mediterraneo) non ci si può liberare facilmente dell’ombra dell’untore: lo si ritrova dove non dovrebbe essere, le ambiguità filtrano fuori; persino la morte di Paneloux crea domanda, essendo classificata nelle schede della pestilenza come “caso dubbio”; detto in altro modo: l’untore non può morire di peste. Ma questo è un elemento forse simbolico dell’interpretazione, e non è detto che sia un male.

Sempre “a guardar bene”, troviamo una piccola chicca linguistica. Lessicometria (!). C’è un vocabolo, un aggettivo, che viene usato due sole volte in tutto il libro: trapu, tozzo. Una volta per indicare la figura corporea del padre Paneloux, e l’altra per descrivere il bacillo della peste, così come appare al microscopio.

Indizi pesanti. Non per aprire la caccia all’untore (che per definizione è assurda, insensata), ma per capire chi è che trucca i dadi della finzione.

Il grande Camus ci ha teso una trappola? Andiamo a verificare, secondo un’ottica inattesa. La lettura può essere riproposta, contro giudizi tanto comuni da aver dominato per più di mezzo secolo. Troppo, per un classico.



Questo argomento è trattato per esteso nel saggio La religiosa passione dell’untore. Ovvero, il nome della peste, in Bruno Pompili, Strabismi 4. L’altalena e il metodo, Crav – B.A. Graphis, Bari 2009, pp. 3-29.

Il post è di Bruno Pompili.

 

 

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