L’animale sbagliato

Prima Bambina: «Dimmi la verità: il lupo è cattivo?»
Primo Bambino: «Dimmi la verità: l’albatro è crudele?»
Altra Bambina:«E i rettili, la iena, il falco, la gru sono buoni?»
Altro Bambino: «Secondo te: il documentario è buono?»
Insieme: «Signore, cosa vuol dire: ottica?»

Se parlo dell’agnello mi faccio coinvolgere dai suoi ricciolini; se parlo del pinguino dico che assomiglia all’uomo, per come cammina; figurati se parlo delle scimmie: sempre a insistere che Darwin aveva ragioni da vendere. … E chi le compra più, le ragioni!
Quando un cucciolo ha fame, è tutto consentito. La volpe, il topo, il gabbiano portano via le uova dal nido del passero, del gabbiano («senti, senti!») e del pinguino. Mangiare è un principio, e solo per l’uomo è un’arte, a sentire certuni.
I felini («buoni loro!») si feriscono la zampa, o prendono una cornata dal bufalo, non possono più cacciare, hanno un mucchio di problemi, e i piccoli chi li cura: possono essere adottati, o anche mangiati dal leone (etc.), proprio lì accanto.

L’orso bianco non sa più dove andare, fa dei giri troppo lunghi, e non si sa: se sceglie male un lastrone di ghiaccio, meglio un pezzo di iceberg, arriverebbe ai tropici («per dire!»); il pescecane non aspetterebbe altro, ma quando mai si sarà immaginato un orso.
L’orca e la foca hanno un conto aperto, la foca coi suoi occhioni, furba rapida debole: mangiata! Ma tante altre si salvano, per una che si è sacrificata. Però nessuno ci dica che è un’eroina («proprio una preghiera»): c’è forse una statua di ghiaccio per la foca ignota? Un gruppo di pescecani organizzati ha preso di mira l’orca “cosiddetta assassina” («ora possiamo documentare che non è vero, e che gli uomini usano le parole a vanvera»), che, guarda a volte il caso cosa fa, ha delle orchine («si dice: orchette?, neanche») a cui accudire.
Ma scusa un attimo: il pescecane non ha mai dei cuccioli? magari per una piccola vendetta, così, un pochino ogni tanto; perché non si vedono mai i pescecagnolini («si dice!»)? Sono già cattivi da piccoli? Non sappiamo dove trovarli, ma è certo che esistono; un poco voraci mi sa che lo sono. Ci vuole pazienza, sempre: la natura non sbaglia. Non sbaglia mai.

Chi fa i documentari appartiene alla natura. [Queste grida inconsulte, stramazzamenti, contorsioni, sono state decifrate come risa incontenibili dei discendenti di Konrad Lorenz, chiamati etologi («nome non felice»), prima dell’estinzione parziale].
Chi fa i documentari appartiene alla natura? («ecco, mancava il ?»), e siamo un poco più tranquilli tutti quanti.
Ma forse i documentaristi sono cattivi?? («doppio ??»). Evitiamo sospetti del tipo: anch’essi hanno cuccioli da nutrire; sono finanziati dalla “Società Homo Homini Agnus”; la tolleranza è una principessa dalla ricca dote ed è pure commestibile; non fare il male e male non avrai; non si sa mai i parenti cosa pensino di fare; e altri cattivi pensieri («l’aggettivo cattivi, magari lo togliamo, sennò ci inguaiamo; ho detto soltanto: pensieri»).
In altre parole, non sapendo raccontare favole quando mi innervosisco («afferrato l’eufemismo?»), e molto me ne dispiace, allora così proprio per spiegare a uno distratto, o a chi ama parole semplici e senza allusioni, dico che c’è qualcosa che non capisco nei documentaristi, a parte il fatto che non so se sono giornalisti che si prendono molto sul serio, animalisti che ragionano come sociologi, scrittori che avranno cambiato bersaglio, filosofi sentimentali, sentimentalisti ragionevoli, registi che trovano tutto pronto e debbono solo pagare un montatore, poeti («proprio così, perdonatemi») della natura, e a cos’altro poi dopo ci penso…
Dicevo che non capisco perché se io parlo del lupo («generico e falso “io” del documentarista, ma senza invidia»), tutti i lupi sono buoni, anche quando cacciano in branco e fanno sfracelli: è il loro costume; e se parlo del mostro marino, il mostro non c’è più; non c’è il corvo, non c’è il falco, la pantegana, e neanche la spigola che di uova di tartaruga si fa un caviale; e il buon coccodrillo, e il tenero piragna! Tutto sta a prenderli dalla parte del loro costume. Si comincia a definire un’ottica. Ora, sì!
Stabilito dunque che siamo tutti buoni, giriamo il bottone e sono tutti cattivi, loro!, gli altri!, che attaccano i buoni.

Ora possiamo anche ridere. Ma il costume, così raccontato, è sbagliato.
I documentaristi non sono buoni, questo è certo, perché mentiscono all’infinito; d’altra parte, se non mentissero, non sarebbero utili al nostro superiore senso di tolleranza.
Però. Però. C’è un limite invalicabile. Chi ha detto loro che gli animali pensano e agiscono con finalità organizzate, su modello homo superabilis: studiando i cartoons probabilmente, la propria infanzia, oh Esopo, oh Fedro, oh La Fontaine, oh F.lli Grimm, («qui: spazio per altri nomi secondo la memoria personale o privata»)… o forse gli Animali della quinta notte («vedi Bruno Pompili»)? Ma hanno forse scambiato le favole con qualcosa d’altro, per esempio una specie di remoto pensiero alternativo?

In conclusione. («Sarebbe: “la morale della favola”»).
Anche Sanfrancesco, un buono sicuro Lui, ci ha provato («con un lupo sicuro?»); e da allora in gran segreto è il protettore dei monchi.
Lasciatemi dire («beh, col mio cognome!»): È proprio il criterio ottico della bontà che non funziona.
La prossima volta, se volete, chissà, parlerò del buonismo. O l’ho un poco già fatto, or ora.

(Bruno Briganti)

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