La meraviglia della semplicità

In un mondo dominato dalla retorica e dagli effetti speciali, la lettura dell’opera di Mario Rigoni Stern ci aiuta a ritornare ad una dimensione umana. A partire dal Sergente nella neve, fino ad arrivare all’Ultima partita a carte, il ritmo della narrazione segue una cadenza naturale. I pochi temi, quali la guerra, la memoria, gli uomini, la natura e le stagioni, che vengono continuamente ripresi e rielaborati, nascono da un sentimento naturale dell’esistenza.
Ciò che colpisce e che rappresenta il valore aggiunto della sua letteratura è la straordinaria corrispondenza tra le parole e le cose. La semplicità del suo lessico, che è stata più volte criticata, non è sinonimo di trascuratezza o di ingenuità, ma al contrario, riflette una visione del mondo priva di orpelli e di artifici. Nell’intervista con Milani, Stern afferma: “Certo che sono uno scrittore semplice, ma questa semplicità dipende dal fatto che voglio che il mio lettore capisca quello che dico. Uso termini specifici soltanto dove parlo di animali o di botanica, perché se parlo di un albero non posso usare termini impropri derivati, magari, dall’uso improprio che ne fa la gente.” Sempre a tale proposito, Stern racconta un particolare della vicenda editoriale del Sergente, del quale sono note le numerose correzioni di Vittorini. Una di queste constò nella sostituzione della parola “semola” con la parola “crusca”. Dopo aver controllato nel Palazzi, nel Devoto-Oli e in altri celebri dizionari, Stern si rese conto del fatto che la parola che aveva usato andava bene e che quella di Vittorini era un’interpretazione personale.

La semplicità del suo stile si riflette anche nella sintassi e nel suo ritmo lento e cadenzato, sempre scandito dall’uso della paratassi. Celebre è l’incipit della sua prima opera: “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile del mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don. Ho ancora negli occhi il quadrato di Cassiopea che mi stava sopra la testa tutte le notti e i pali di sostegno del bunker che mi stavano sopra la testa di giorno.” Qui l’uso dell’anafora e dei continui punti fermi, contribuisce a far entrare queste parole nell’animo di un lettore attento. A questo concorre anche lo schema logico che sta alla base di questa breve descrizione: l’olfatto, l’udito e la vista sono i sensi attraverso i quali la scena ci viene presentata, in un climax ascendente che partendo dal naso, arriva fino al cervello e anche a qualcosa che i sensi non bastano per spiegare: il quadrato di Cassiopea, che sembra proteggere i soldati, ricordando loro che si trovano sotto il cielo di sempre. La sintassi di queste righe, con le quali per la prima volta lo scrittore si è presentato al grande pubblico, costituisce un esempio emblematico, destinato a rimanere il carattere denotativo del suo stile. Un’altra caratteristica della sua sintassi è l’uso frequente di connettivi, che rende più semplice per il lettore, capire la struttura logica che è alla base dei suoi scritti.

Insieme al dato stilistico, non si può non considerare quello contenutistico, che nasce da una precisa concezione della realtà. Una realtà che nasce dal vissuto delle situazioni e soprattutto dei luoghi. Questi ultimi infatti, quando non sono i luoghi della guerra, sono paesaggi naturali del presente e della memoria, sono sentieri che Stern ha calpestato e dei quali conosce l’anima segreta.
La realtà che Stern ci presenta non è filtrata da preconcetti o da giudizi, ma risulta chiara nella sua semplicità. Nelle vicende narrate non c’è spazio per la visione onirica o per l’indagine psicanalitica. L’uomo che ci presenta è allo stesso tempo un animale-uomo, molto attaccato alla sua terra e alla sua quotidianità, che vive seguendo dei ritmi naturali  e un uomo capace di meravigliarsi di fronte ai piccoli fatti della natura. Il canto degli urogalli che sostano sulle betulle nelle notti estive, le difficoltà di un capriolo sorpreso e imprigionato dall’acqua di un violento temporale, riescono a provocare nei personaggi uno stupore sempre nuovo. Il tutto senza idealizzare un’armonia tra gli uomini e la natura, perché Stern è consapevole del fatto che non sia mai esistita, e senza dipingere sfumature russeauiane o arcadiche. Il suo è un uomo che si sa accontentare di ciò che vive e che soprattutto non cerca altrove i motivi della sua felicità, guardandosi dentro e attorno con esiti tutt’altro che mitizzati o bucolici.
Nella letteratura sterniana la coerenza tra stile e contenuto risulta perfetta e prende corpo in una ponderata linearità di linguaggio e di narrazione.

(di Michela Dalla Vecchia)

 

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