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Io, il pattinaggio, Yuzuru e la yuzurite

Sì lo ammetto, sono malata… malata! Qualcuno mi aiuti per l’amor del cielo!
E non è per niente facile parlarne, ve lo dico. Primo perché la gente non mi capisce, secondo perché la gente non sa proprio niente in generale, riguardo a questa faccenda. Non voglio offendere nessuno, sia chiaro. Però la malattia di cui soffro richiede una certa preparazione di base.
Provateci voi a capirne qualcosa se non avete mai praticato uno sport chiamato “pattinaggio artistico”. Uno sport che appena inizi a praticarlo pensi che sarà impossibile, che non ce la farai mai a fare un giro su te stessa con i pattini addosso, in movimento, atterrando su un piede solo, anzi su un pattino solo, e a rimanere pure in piedi!

Mio padre mi diceva sempre «ti faccio una foto mentre sei in aria così la porti alla maestra, tanto mica lo sa lei che poi esci dalla pista rotolando per terra» (simpatico…).
E invece io, al primo tentativo, tac, in piedi! La felicità in quel momento… non ve la so spiegare! Mi ero perfettamente arrotolata su me stessa per ben mezzo giro ed ero arrivata con posa plastica senza aver provocato nessun buco sul pavimento! Sì, avevo detto a me stessa, sarò una campionessa!!
Così mi ero precipitata dall’allenatrice che all’epoca io chiamavo maestra perché si sa che i bambini, gli allenatori, li chiamano “maestri”.
«Maestra maestra ci sono riuscita!!» Giuro, non stavo nella pelle, avevo dimenticato in un istante di avere ai piedi delle armi potenzialmente spezza-femore. Mi ero avvicinata a lei in piena padronanza, girando e frenando come solo i campioni (quale io sarei certamente diventata), fanno. Lei mi aveva guardata con quell’aria dei grandi quanto dicono a un bambino “bravooo… bravissimoooo” perché i ragazzini bisogna sempre incoraggiarli, scherziamo? Potrebbero crescere con delle insicurezze, avere problemi adolescenziali, diventare degli adulti disadattati. Io a mia volta l’avevo guardata con quell’aria del bambino che dice “sì sì trattami pure da deficiente, tu non sai chi hai davanti! Adesso vedi come rimani a bocca aperta, carina! Ti sfodero il miglior salto del tre che tu abbia mai visto in vita tua!”.
Già me la vedevo correre dai miei genitori a dire loro «questa bambina e un prodigio!! Le regalo le lezioni di pattinaggio io, me la porto a casa, la farò crescere e insieme conquisteremo il mondo!».
E così partii in quarta per prendere la rincorsa, era un gran momento e sapevo che avrei fatto qual salto come nessun altro aveva fatto nella storia! E, infatti, eccolo il salto del tre, un mezzo giro su me stessa perfetto, alto, all’arrivo un piede saldo a terra, l’altro, il libero, bello… tirato… infinito! Mi ero girata trionfante ma senza strafare… in fin dei conti sarei stata una campionessa, a me le cose sarebbero venute facili sempre, la gente avrebbe detto caspita sembra così facile fatto da lei, e io l’avevo appena capito. Insomma, umiltà sempre, anche se sei un genio!
E invece, quello che disse la mia “maestra”, fu una cosa che in un solo istante distrusse tutta l’autostima che avevo conquistato nel quarto d’ora precedente. Disse semplicemente e inconsapevole del danno pedagogico che avrebbe scatenato: «Bravissimaaaaaaa (quello non poteva mancare)… ma si fa con l’altro piede… non si arriva col sinistro, ma col destro». Con quel sorrisetto, sempre accondiscendente, un sorrisetto del cazzo, diciamolo.
Allora non ci pensai, alla faccenda del sorrisetto, semplicemente provai a fare il salto come aveva detto lei. E fu il disastro. Caddi rovinosamente a terra con la sensazione di essere stata messa in uno di quegli acceleratori di gravità per astronauti. Una carriera rovinata.
Cos’era successo? Niente… ero semplicemente mancina, e lei aveva pensato solo che doveva essere accondiscendente, ma non che forse, magari, mi doveva chiedere con che mano scrivevo di solito!
Impiegai dei mesi per adattare il mio corpo a saltare da destro, quando io ero semplicemente mancina… mancina! Come Carolina Kostner, per dire! Ecco, sono mancina e saltavo da destra! Provate voi a dire a Carolina Kostner di fare altrettanto.
Maestra del piffero!
Forse per questo ho passato un’infanzia a combattere con quei salti storti che mi sembrava di saltare giù da un burrone ogni volta che mi staccavo da terra, e ora mi dico malata?
Ma no, ma no, non c’entra proprio niente… ho rinnegato con violenza il pattinaggio a diciassette anni e mi sono data alla danza contemporanea, che tanto con quella non ci sono destra o sinistra che tengano, i giri li devi fare da una parte e anche dall’altra. E con il piede libero nelle posizioni più ridicole (è arte, dicono…).
Ed è andato tutto bene, sono stata una persona normale, un po’ snob nei confronti del pattinaggio forse, lo ammetto, ma normale. Fino a un giorno e a un momento particolare, che ricordo fin troppo bene, purtroppo.
Era il 30 marzo del 2012, in TV davano il campionato del mondo di pattinaggio di figura, categoria maschile. Guardavo abbastanza distrattamente, c’era un gioco sull’iphone che mi prendeva parecchio all’epoca, devo dirlo.
Ma poi, a un certo punto entrò in pista un ragazzino di 17 anni, giapponese, proprio l’età in cui avevo rinunciato definitivamente ai miei sogni di gloria.
E in quel momento capii esattamente che cos’è il pattinaggio.
Tutto quel ghiaccio… bianco, liscio ma solcato da quelle lame che facevano quel rumore che graffiava l’anima… e lui, fuoco che urlava e che avvolgeva con le sue fiamme i poveri inconsapevoli spettatori che si ritrovarono all’improvviso al cospetto della pura eleganza, forza, grazia, potenza. Tutto insieme, tutto in una volta. Troppo per me, troppo per tutti. Un’esperienza mistica senza preavviso, insomma. E io con due occhi così davanti alla TV che non ci credevo fosse possibile una cosa del genere, che finalmente vedevo nella realtà quello che avveniva solo nei miei sogni, ma i sogni veri, quelli che si fanno la notte, come quel sogno ricorrente di essere sola in una pista, e pattinare così bene da sentire di volare, senza fatica, senza sforzo, ridendo di gusto e urlando “SE IL PARADISO ESISTE VOGLIO CHE SIA TUTTO QUESTO!!”.
Ecco, questo era lui. Era una cosa mai vista, mai…
Visto? Sto parlando come una persona malata, io non sono così, sono una tipa piuttosto disincantata, sono un’a-romantica, odio le smancerie… e invece eccomi qui che parlo di lui così!! Ma cosa mi ha fatto, cosa? E perché sto scrivendo, qui, adesso, tutto questo?
Yuzuru Hanyu (così si chiama il nostro eroe) nel frattempo, dopo quel famoso 30 marzo 2012 è diventato campione olimpico, mondiale, ha vinto quattro volte la finale del Gran Prix, è diventato un idolo in patria, una leggenda umana, ormai non ci sono più punteggi adeguati per giudicarlo, tanto che probabilmente a causa sua saranno ritoccati i sistemi di punteggio dopo le prossime Olimpiadi. È stato definito alieno, abitante di un pianeta in cui è l’unico abitante, ologramma, Re, e ormai quando arriva nei palaghiaccio di tutto il mondo distribuisce inchini nipponici ai fans come fossero benedizioni.
Il fatto è che ora si sono appena conclusi i campionati mondiali 2017 e Yuzuru ha eseguito il miglior programma mai pattinato nella storia…ed è una settimana circa che mi sveglio con la sua musica nelle orecchie, i suoi quadrupli negli occhi, che mentre cammino per strada tanti mini-Yuzu-kun mi volteggiano attorno come stelline, e allora è normale che sia qui a scrivere, perché forse è l’unica terapia per me. E allora le iperboli si sprecano, e arrivo a pensare, nel mio delirio malato, che io, povera crista che pensava con un salto del tre di diventare una campionessa, alla fine ho praticato questo sport solo per poter un giorno conoscere questo essere sovrumano, capire le difficoltà che esegue, i salti maestosi, le transizioni magiche. Che il caso non esiste, che era destino, e ringrazio questo destino, ringrazio di vivere adesso e poter vedere pattinare lo spirito del ghiaccio.

Arianna Franzan

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