Il lato comico dell’amore

Il professor Caonero è un omosessuale tutt’altro che impenitente. Anzi, cresciuto con un tormentoso senso di colpa (causato, nella sua interpretazione, da una perfetta educazione cattolica), solo adesso, a 65 anni, sembra aver raggiunto una discreta accettazione di sé e delle proprie inclinazioni sessuali. Discreta perché comunque il presente gli sfugge (forse gli sembra di poterlo fissare nel libro che scriverà, ma pure quello è nel futuro, è fatto di desiderio) e sembra che la felicità sia sempre altrove, sempre nel sogno e mai nell’attuazione. Tanto che Caonero vive due storie parallele ed eroticamente intense – con il giovane e incolto Luca e con il ricchissimo stilista Pierre – e sembra che desideri l’uno giusto nel momento in cui sta con l’altro.

La Trasparenza del Buio di Roberto Pazzi (Bompiani, 2014) è un libro costruito sul desiderio: carnale e inestinguibile, per quanto se ne colga la follia; desiderio di riuscire a vivere il presente, anziché proiettarsi in un perenne futuro; desiderio di accettarsi e di essere accettato, ma di accettarsi pure a prescindere dall’essere accettato. E’ un libro divertente. Divertente a più livelli. In primo luogo perché, diciamoci la verità, risponde alle nostre morbose curiosità di ficcare il naso nelle vite e nei mondi altrui, in questo caso il mondo (meglio dire: un mondo) omosessuale e la vita di alcuni omosessuali (il professore, il giovane irretito solo dagli anziani, il ricchissimo stilista, più una miriade di politici, magistrati, calciatori, vescovi a stimolare il gusto per il pettegolezzo – impossibile non chiedersi quale reale politico, magistrato, calciatore e vescovo si nascondano dietro i nomi fittizi). A un livello diverso, c’è il piacere di entrare nella testa di una persona e seguirne con curiosità incessante i movimenti, i sussulti, le incongruenze: Pazzi infatti mette una telecamera nella testa del suo protagonista e noi – con straordinaria precisione e nitidezza di particolari – diventiamo i suoi occhi, vediamo tutto, e non sarà necessario essere un professore sessantacinquenne gay per renderci conto, sorridendo, d’aver provato gli stessi tremori, gli stessi imbarazzi, le stesse gelosie, gli stessi sotterfugi: cercare di fare qualsiasi cosa per non telefonare alla persona che si è appena conosciuta perché “in amore vince chi fugge,” e sapere che comunque si cederà e si telefonerà e si dirà la cosa sbagliata, e ancor prima di vivere la storia proiettarsi in un futuro dove saremo abbandonati. Pazzi attraverso il suo protagonista si diletta a indugiare e indagare nella psicologia amorosa e, mentre il protagonista si tormenta, il lettore sorride dei suoi tormenti amorosi, cogliendo quello che egli non può cogliere (perché li sta vivendo) esattamente come noi non possiamo coglierlo quando li viviamo (ma solo quando sono passati): il lato comico, ridicolo, dell’amore. C’è altro che scopriamo però: cosa significa essere gay nell’Italia del secondo ‘900. La sofferenza, l’onta, la vergogna. Da quest’ultima forse nasce persino una paradossale omofobia (il protagonista è inorridito dalle “checche,” sottolineando l’orgoglio d’essere un uomo a cui piacciono gli uomini, non una donna mancata). Addirittura l’invidia per chi nasce gay nel 2000 o chi è nato gay nei paesi scandinavi, e può permettersi di fare coming out con meno difficoltà di chi è nato in Italia nel dopoguerra – anche se il protagonista si consola riflettendo che costoro non conosceranno mai il piacere così intensamente come coloro a cui questo piacere fu proibito. E la rabbia. La rabbia è diretta contro l’Italia bigotta e contro la Chiesa ipocrita (un paio di volte affiora nella voce del narratore l’equazione preti/pedofili), ma la sua efficacia un po’ di sgonfia quando diventa generica (forzati due o tre riferimenti espliciti a Berlusconi).

L’amore omosessuale all’interno di una società che non lo accetta è un tema che attraversa l’intera produzione di Pazzi. Ma precedentemente Pazzi sembrava sempre affrontarlo in modo indiretto, per esempio situandolo in epoche lontane, o ne faceva spunto per riflessioni di natura filosofica, quasi eludendo l’aspetto carnale, o sublimandolo. Qui invece è molto diretto. La sua scrittura, che di solito ha un respiro lento, classico, in questo libro si fa veloce, senza fronzoli, capace di usare un registro basso (impensabile che Pazzi potesse usare ibridi come “chattare”), quasi frenetica: al passo della mente del professore – che ha 65 anni, ma la vitalità, le ansie, il coraggio di un ragazzino di 15. E’ un personaggio che Pazzi rende con onestà totale, lo coglie nella sua innocenza ma pure nelle devianze ed esorbitanze del suo ego, nella sua incapacità di amare nel momento stesso in cui ama con tutto se stesso. E pure i personaggi di contorno – Luca, Pierre, Milena – sono veri, palpitanti, tutti animati da questa sete, da questo desiderio, segno principe de La Trasparenza del Buio, romanzo che intratterrà lettrici e lettori dalle esigenze diverse: chi cerca semplicemente una storia erotica, chi intende spiare i meccanismi di un amore, chi vuole affondare in un percorso esistenziale ed intellettuale che riguarda inevitabilmente tutti, la vanità (nel suo duplice significato) delle passioni, la brama di afferrare la vita tanto più quando la si avverte fuggevole; e una scrittura, infine, moderna – ma che non si arrende alla modernità.

(di Giacomo Rovelli)

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