Emilio all’Einaudi

Venerdì 5 dicembre 2014 alla libreria Einaudi di Venezia, abbiamo presentato L’anarchico Emilio.
Ehi, un Priamo editore da Einaudi? Ma siamo sicuri?
A volte succede.
Su invito di Sofia, la libraia, e con la presenza di Vincenzo, l’altro libraio che l’affianca da un tempo che per quanto mi riguarda è sempre: due corpi e due anime che animano quello che è uno dei pochi residuati coraggiosi – categoria da proteggere -, che fa della Venezia dei lettori, una città in cui i libri hanno ancora un senso. Nel non senso che permea, talvolta, le non esistenze che caratterizzano l’era moderna, un non primato (le virtù antiche, a lunga conservazione, offrono dimensioni che vale ancora la pena di frequentare).

Va detto, a onor del vero, che venivo da una settimana particolarmente intensa; che è un modo per dire che ero piuttosto stanco (stanchino no, per favore!).
Come mi sento in queste condizioni? Mi sento condotto a spasso dal pilota automatico che mi sostituisce, che fa quello che deve, che è il mio sosia in versione  leggermente appassita. Credo che ognuno ne sia provvisto, e che lo esibisca per adempiere al proprio dovere, come si fa coi giocatori della panchina, o riserva che dir si voglia.
E quando succede, pur sapendo che comunque la sufficienza si raggiunge, c’è sempre una sottile inquietudine; sottile sottile, ma c’è.
Tra l’altro Marco – il co-autore – non c’è: è a Bressanone, a presentare un altro libro.

Sceso dal bus, inizia a piovere. Mi stringo nel cappotto, aggiusto la sciarpa, mi incammino verso i Frari. Attorno a me Venezia, umida e languida, che mi accoglie dolce e nostalgica.
Arrivo e trovo Anna Toscano, che mi presenterà. E’ nella prima delle tre stanza che compongono la libreria, la mia preferita, la mia tentazione che si materializza in dorsi di libri bianchi, gialli, grigi sugli scaffali, e di copertine invitanti – non più tutte, come un tempo, ma ancora in maggioranza – che riposano sul bancone centrale – non so se riposano davvero: certi libri, quando poso su di loro il mio sguardo, sembrano invitarmi, agitandosi, eccitati -.

Dopo i saluti, combattendo una lotta impari col pilota di cui sopra, cercando di riaffermare il mio diritto a dirigere il programma, passiamo attraverso la seconda stanza – che in realtà è un cortile dove nella bella stagione si tengono la maggior parte delle presentazioni – e raggiungiamo la terza, quella che contiene saggi e libri per l’infanzia. Ci troviamo Umberto che armeggia con cavi, ampli pret-a-porter e chitarra.
Ci eravamo già sentiti al telefono per fissare in linea di massima il programma, ma sentirsi senza vedersi, spesso, priva la comunicazione della sostanza che siamo. La sola voce è parte dell’unità e unicità che siamo, che testimoniamo coi corpi, con gli sguardi, con le posture.
Sono felice per la circostanza, per la compagnia, e in quel momento mi pare di aver bisogno di ritrovarmi; e ritrovarmi è sempre un bel momento.

Tutti e tre accordiamo gli strumenti, concordiamo la scaletta: chitarra e libri, dita che arpeggiano e voci che s’intonano: pronti via.
Si parte con la lettura di un brano.
Poi le considerazioni di Anna sulla struttura narrativa, sull’intreccio tra storia e fiction, sui punti nodali, le caratteristiche, le caratterizzazioni, i passaggi tra sogni e reale, l’amore, l’amicizia, il dolore della guerra.
Scusate, ma devo aprire una parentesi: (ecco, ora devo scriverlo: devo. Lo so che rischio, ma non ne posso fare a meno: sarei stato ad ascoltare che si parlava del libro, a lasciarmi intrattenere dalle parole che gli si dedicano, alla competenza della presentatrice, all’impegno che vi ha profuso. E proprio in quel momento, in questa parentesi, mi accorgo che forse il mio pilota mi ha sostituito, che io ero là come ospite, a osservare quei tre che ci parlavano di argomenti che mi piace ascoltare; e che è bello stare tra i libri, entrare nelle storie, confrontarcisi, arricchirsene, stupefarsene, aggiungerle alle proprie esperienze. Chiudo parentesi).

E la serata diventa piacevole.
Non siamo in tanti, ma siamo attenti, pronti.
Alla fine qualche applauso, il panettone, da bere.
Ci ringraziamo vicendevolmente per quella parentesi di grazia, per la sensazione che ciascuno di noi è importante, è un pezzo di quel quadretto contenuto all’interno della stanza tre della libreria Einaudi.
Siamo forse solo pezzetti di cosmo evolutisi in esseri umani, e ci raccontiamo storie per dimenticarcene; siamo atomi-cellule-molecole, processi biochimici e elettrici, siamo un’illusione, saremo un ricordo, e tuttavia quando stiamo insieme, brilliamo di luce colorata e siamo degni di abitare l’universo.
Ci baciamo e salutiamo, e ognuno prende la propria strada, consapevoli che ci si rivedrà.

L’umidità non ha smesso di diffondersi nell’aria, ma fa parte, arricchendola, dell’unicità di questa città.
In intimità con cappotto e sciarpa e immagini immaginifiche e sospese, cammino verso Piazzale Roma.

Ad un certo punto, a circa metà presentazione, ho affrontato il pilota automatico e gli ho detto che poteva tornarsene a dormire; lì per lì si è offeso, e un poco mi dispiaceva. Allora gli ho promesso che gli avrei spiegato tutto al ritorno.
Ecco cosa gli ho detto:
“Gli stati d’animo sono sempre fuggevoli, impermanenti, e non bisogna dargli troppa retta, è vero. Ma tra questi, qualcuno è qualcosa di più: è la certezza che seppur a fatica, tutto il non senso, scaturisce da un’origine sensata, la quale si manifesta con la nitidezza cristallina della verità. E se noi stiamo attenti, riusciamo a distinguerla dal continuo caos che ci assilla. Se noi fingiamo di essere presenti, facendoci sostituire da voi – i piloti automatici sono tutti simili: un simulacro, una funzione, un ruolo -, ci perdiamo l’opportunità di cogliere l’insight, che non è altro che quella roba che ho scritto due righe fa.
Caro Emilio Castellani, anarchico desueto, stasera ti abbiamo fatto compagnia. Non eravamo tanti, ma attenti e belli.
Un caro saluto,
tuo Cristiano.”

(di Cristiano Prakash Dorigo)

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