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Diario greco 7

Questo suo modo di scrivere cosi colorato e vivo mi apparve quasi subito come una necessità catartica e forse per questo rimasi più volte a rileggere certi punti che faticavo a capire per la ricchezza di metafore e di invenzioni fulminanti che mescolavano felicemente espressioni gergali ad allusioni colte con risultati che di volta in volta potevano essere velati o spiazzanti.
“Non esistono strade della Laconia senza somari. Ehi, sto parlando di somari, quelli veri… Quelli che qui sono parte del paesaggio e della sua storia.
In tempo di guerra il nostro somaro non aveva un nome ben definito, ma c’era chi lo chiamava ‘Gelsomino’. Era la mascotte delle nostre salmerie, aveva due occhi che parlavano e mi portava il fucile – che io mi ostinavo a chiamare schioppo, malgrado non fosse ad avancarica – assieme a un bagaglio minimo, tanto perché non si appesantisse troppo.”
C’erano poi momenti in cui, scrivendo, preferiva prendere delle vie più lunghe per trattenere il moto irrefrenabile delle idee che lo assalivano e alle quali sembrava volersi abbandonare.
“Micene appare come uno sperone roccioso pieno di sassi, di muretti, di scale sconnesse, di sentieri polverosi e di muraglie imponenti. Si arriva e si prova quasi un senso di delusione assieme a un’idea vaga di aver visto i resti di un’antica città.
Chiaro che Micene è ben altro. È scoprire nel paesaggio, nella trasparenza dell’aria, nei profumi della terra, la poesia che ognuno di noi porta nell’anima.”

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