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Diario greco 4

Continuai a leggere, senza darmi tregua. Volevo capire, volevo conoscere.
“C’è che la gloria ha sempre bisogno di morti, di patacche e di commemorazioni con messa cantata al finale… ma noi in quel settembre eravamo ancora vivi e troppo scomodi testimoni della loro meschinità, un bagaglio troppo pesante da riportare a casa.
Seguirono, così, il metodo tradizionale degno di una stirpe antica: fuggirono… tanto il fatto di aver dimenticato tra le pieghe della geografia balcanica un esercito di quasi mezzo milione di uomini non turbava minimamente i loro sonni.
E poi gli altri, ecco, gli altri… i nemici ai quali dovevamo sparare. Ebbene, furono i soli che ebbero pietà di noi. Le loro parole straniere di una lingua antica furono le uniche che sentimmo in quei giorni. Forse non le capimmo proprio tutte, ma di certo avevano il tono delle parole amiche.”
Leggendo, mi riportavo di continuo ai miei sentimenti e alla mia condizione. E mi sentivo parte di quel mondo così lontano nel tempo.
“La nebbia mattutina sembra avvolgere tanti spazi, senza fine. Sono orizzonti invisibili che si sentono oltre la nebbia. Linee indecise che sfuggono alla mente e ritornano al ricordo non ancora sopito che scende sempre più verso il temuto tramonto dell’abbandono. Luci che abbagliano, che annebbiano la vista, che fanno socchiudere gli occhi ormai stanchi di guardare, che si attenuano, che scompaiono nel buio di una lontanissima spiaggia.
Penso che forse sono solo sogni, ma lo sento chiaro dentro di me il desiderio di infinito. Allora ci credo davvero a questi orizzonti che proteggono con tutte le loro forze questo mio piccolo regno che sembra fatto di niente. Un regno in cui l’amore ha dolcissimi occhi di donna e mani che cercano un volto e voce che scende profonda con parole senza fine. Orizzonti lontani, aperti oltre le piccole vicende umane.”

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