Diario greco 3
Mi impressionò in particolare un punto in cui Asprea descriveva la partenza dall’Italia nell’ottobre del 1940 — “all’inizio della scaletta, crocerossine offrivano frutta di stagione, cartoline e saponette profumate… chi non ricorda quelle scalette era forse rimasto a casa o forse non può ricordare perché non è più…“ e poi il mare che rivedeva più di trent’anni dopo — “un mare sopra cui non posso dormire… dormire è l’oblio… forse la nave su cui sono adesso passa sopra altre navi, quelle affondate allora in queste acque… passa sopra la Divisione Julia, di ritorno dal fronte greco, appena risparmiata da un nemico che non aveva voluto infierire e compiere inutili stragi… mentre sapeva e voleva compiere una strage perfetta l’altro nemico, quello di Cefalonia, preciso e metodico contro soldati vinti e disarmati, uccisi uno per uno con ordine, e i loro corpi bruciati con la benzina per cancellarne anche la memoria…”
Tra le righe si intuivano immagini di distruzione, fame, fuoco. E si poteva capire l’amara ironia.
“Quanti nemici avevamo in quel tempo. I più cattivi e i più pericolosi, però, erano dietro le nostre spalle. Erano quelli che si facevano chiamare ‘eccellenze e signori’. Quelli che disprezzavano la nostra scarsa aggressività, rimproveravano la nostra familiarità con la gente, che loro chiamavano ancora ‘il nemico’. Quelli che un giorno di settembre non ebbero nessuna pietà di noi. Tutto cominciò come uno scherzo. Uno scherzo che si rivelò sempre più atroce… E per farci fare almeno una faccia più feroce, si infilarono senza pudore nei nostri sentimenti più puri, e il loro stato fatto di brillanti carriere, lauti stipendi e di eccellenti pensioni cambiò nome, divenne la Patria. La cosa a un certo punto sembrava funzionare e qualcuno si sentì anche preso da strane commozioni. Ma proprio in quel momento si capì anche una grande verità: che eravamo stati tutti fregati e pronti per l’uso.”