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Diario di un insegnante d’Italiano ai Tropici (TWO)

(Storia di Magdalena)

“Vengo da tre generazioni di donne, mia nonna, mia bisnonna, e mia trisnonna, rimaste vedove a 35 anni: al tempo del mio bisnonno, la famiglia possedeva un negozio di armi e orologi, le donne l’han trasformato in gioielleria”.
Dove?
“A Villa Maria, a metà strada fra Cordoba e Buenos Aires. Io sono nata lì, nel 1985, di fronte a un fiume, il Rio Tercero”.
Magdalena ha 28 anni. Io a 28 anni presi il mio primo aereo: lei, dopo Villa Maria, ha vissuto a Cordoba, Coral Springs, Roma, Los Angeles, San Francisco, Dublino. A Dublino lavora per Google, in una posizione importante, e ci lavora grazie al fatto d’aver studiato Italiano.

“Mai avrei pensato che l’unica materia che ho studiato per puro divertimento sarebbe stata quella che avrebbe determinato la mia vita, che mi avrebbe dato il lavoro”.
Andiamo per ordine Magda, le dico, mentre sorseggiamo un caffè in una mattina lucente ma insolitamente fredda, a un tavolino all’aperto di Starbucks, a Mizner Park, la piazza ovoidale color rosa pastello di Boca Raton.

“Nel ’92 ho vissuto il mio primo trasloco, a Cordoba, e sono andata in una scuola cattolica solo femminile, dove insegnavano la grammatica e l’uncinetto. Non mi piaceva, le suore erano aggressive. Invece il liceo è stato bello. Era un liceo costosissimo, ma chi non poteva pagare, chi veniva dalle villas miseria (le favelas argentine) poteva accedervi ugualmente, e non era nemmeno necessario dimostrarlo: si sa chi è povero. Quindi convivevano ragazzi ricchissimi e nullatenenti, si stava insieme, si fumava fuori, in completa armonia”.
Questo è difficile da credere, le faccio notare: che la ricchezza o la povertà non innalzino barriere.
“In Argentina si ha un rapporto col denaro che non si ha, per esempio, in America. Qui si spende, là si risparmia, perchè si sa che il sistema può sempre crollare. Nella mia famiglia i soldi ci stanno da molti anni, ma non è un argomento di cui si parla a casa. I miei hanno comprato la loro prima macchina nuova tre anni fa, quando avrebbero potuto comprarne molte – ma non servivano. E se una macchina si rompe, si chiama il meccanico, non la si butta via. I soldi girano, si investono, si usano per ciò che serve, non per il superfluo. Non ho mai avuto una Barbie, e per guadagnarmi i primi soldini facevo torte e le vendevo per strada. Siamo cresciuti in una maniera molto … tranquilla”.
Però a Cordoba tuo padre ha acquistato una casa bellissima.
“La casa più bella in cui io abbia vissuto, in stile coloniale, nel quartiere Cerro de Las Rosas, un quartiere raffinato, un po’ come il Parioli a Roma: stavamo su un colle e si vedeva tutta la città. Ci abbiamo messo quattro anni a sistemarla: quando abbiamo finito di sistemarla, sai che succede? Ce ne andiamo …”

La mamma di Magdalena è laureata in letteratura americana e fa l’astrologa, a Cordoba lavora in tivù, il papà è un ingenere chimico che vende tecnologie per l’industria caesaria: hanno tre figlie e un maschio, tutto perfetto, ma l’Argentina sprofonda nella crisi economica e nel 2002 i suoi emigrano, a causa del Corralito del 2001 (il governo congela i conti bancari, per cui non si puo più accedere, se non in misura minima, ai propri soldi, e solo se si ha un conto in pesos).
“Puoi immaginare l’addio ai miei amici all’aeroporto. Non è facile lasciare tutto a 17 anni, e mio padre aveva voluto che ciascuno di noi portasse solo un bagaglio, quindi in un bagaglio avevo dovuto scegliere e metterci tutta la mia vita. Un tragedia! Ma anche sollievo: mi sentivo quella salvata, quella fortunata che poteva andarsene. La crisi economica aveva portato anche una crisi sociale: non potevo più camminare da sola nemmeno a mezzogiorno, era pericoloso, il timore continuo dei rapimenti, di violenza immotivata, una sensazione pesante, e ti ho detto che il mio era uno dei quartieri migliori… Mio padre voleva che noi avessimo un futuro, non voleva che a 35 anni finissi a lavorare in un call center. Voleva che avessimo la stabilità che l’Argentina non poteva offrire allora – nè adesso, dieci anni dopo”.

Qual è il primo ricordo americano?
“La vampata di umidità all’aeroporto di Miami. Era agosto, io venivo dall’inverno argentino. Mi iscrissi all’ultimo anno di liceo. Fu l’anno più difficile della mia vita. Molta pressione, senza punti di riferimento, scarsa conoscenza della lingua”.
Magda viene inserita nelle classi per non parlanti l’Inglese, colme di latinoamericani, una sorta di serie B. Ma, discendente da donne forti, ci mette tutta la forza dei suoi nervi e s’impegna disperatamente, in primis per imparare quella dannata lingua, e lo fa leggendo furiosamente Tolstoj in traduzione e Stephen King. Là incontra quello che definisce la prima persona importante della sua vita americana, un professore d’Inglese che si accorge degli sforzi di Magdalena: alla fine del primo semestre, il professore parla coi superiori e fa in modo che venga promossa alle classi regolari, con gli Americani.
“È stato un momento assolutamente critico, perchè ho capito una cosa: se lavoravo, se mi sforzavo, c’erano delle conseguenze. Io mi ero impegnata e qualcuno mi aveva premiata. E da quello è stato il mio modus operandi da allora in poi, perchè avevo compreso una cosa fondamentale: questa non è l’Argentina. Qui – se lavori – vieni ricompensata”.

Magdalena è una bella ragazza, alta un metro e ottantuno, un sorriso radioso: decide di seguire un corso di modella che si paga lavorando in nero per un ristorante cinese, ma non lo finisce: “Un’esperienza denigrante. Da allora le modelle hanno tutto il mio rispetto: bisogna davvero avere stomaco per accettare d’esser trattate come oggetto: tutto il tuo valore è nell’apparenza”. E continua a lavorare di ristorante cinese in ristorante cinese, mentre si iscrive all’università, Florida Atlantic University, a Boca Raton.

“L’università è stata un’esperienza bellissima ma molto difficile. Questa mentalità the more you do the more you get (più fai più ricevi) è diventata un’ossessione di perfezionismo, fonte di stress, a un certo punto ho avuto persino bisogno dello psicologo”.
Strano, le dico, in classe mi sembravi sempre così serena.
“Perchè l’Italiano è l’unica cosa che ho fatto per divertimento. E per caso. Avevo una borsa di studio del governo che mi copriva una classe di lingua, così ho provato Italiano, che avevo già studiacchiato un po’in Argentina”. Le piace moltissimo e – mirabile dictu – nessuno stress! Così continua, Italiano uno, Italiano due, poi le classi di cultura e letteratura … a quel punto, decide di laurearsi in Italiano.
“L’Italiano mi ha fatto riscoprire la mia argentinità. Mi ricordo la prima classe d’italiano, con te: io non avevo mai conosciuto un Italiano Italiano
. Ma i tuoi gesti, il tuo modo di parlare mi erano molto famigliari, e man mano che ho proseguito ho capito quanto fosse forte l’influenza italiana in Argentina”.
Lo studio dell’Italiano la incuriosisce, la conduce a studiarlo in relazione allo Spagnolo, la porta allo studio della linguistica, in cui ottiene un secondo bachelor
(che corrisponde alla nostra attuale laurea triennale).
“Ci son due modi per imparare una lingua: per necessità e per piacere. L’Inglese l’ho imparato per necessità, l’Italiano per piacere. Così mi son coinvolta con la comunità italiana, sono diventata vicepresidentessa del club Italiano universitario, ho fatto qualsiasi attività che mi permettesse di approfondire lingua e cultura italiane”.
Nel frattempo Magdalena si fa anche il passaporto italiano:
“Perchè non avevo la green card
, nè ce l’ho adesso. Nel momento in cui, come ora, non sono più una studentessa, divento automaticamente una turista. Ma come Argentina ho bisogno di un visto per entrare negli Stati Uniti, come Italiana no. Solo grazie al passaporto italiano, in caso di emergenza o altro, posso rientrare negli Stati Uniti”.
Dopo i due bachelor
, Magdalena viene ammessa a un programma master di linguistica in un’università di Los Angeles. Prima che inizino i corsi mancano però sei mesi: Magda decide di visitare Roma:
“Avevo soldi sufficienti per un mese, così mi son tirata giù l’elenco di tutte le scuole private di Roma e ho bussato, fisicamente, a tutte, chiedendo di poter parlare con qualcuno. Finchè ho trovato da insegnar Inglese e Spagnolo in una scuola vicino a Piramide. Ho vissuto all’Eur per due mesi, poi a Centocelle. Avevo una stanzina in un appartamento di una ragazza romana: così ho imparato parole come mo.
Dicevo mo, lavoravo, esploravo la città, leggevo. Ho letto tutta Elsa Morante. Ci son rimasta sei mesi, il minimo per avere almeno un’impressione di Roma, e della sua magia”.

A Los Angeles vive in una bella casa, con due co-inquilini, in uno dei peggior quartieri della città e forse del Paese, sono anni intensi e faticosi – l’università le dà un lavoro di insegnante di Spagnolo, fra le sue studentesse c’è pure la figlia di Schwarzenegger – e di studio matto e disperatissimo. Dopo il master, sceglie di non proseguire nel programma di dottorato: scaduto il visto studentesco, Magda entra in possesso dell’OPT, il visto che permette di lavorare per un anno e non è rinnovabile: ha bisogno, non solo per vivere ma per ottenere un documento che le permetta di restare in America oltre un anno, di un lavoro. Una middle school di Los Angeles le offre un posto favoloso, per qualità e stipendio: e le offrono pure di sponsorizzarle la carta verde: un sogno. Ma contemporaneamente, Google a San Francisco sta cercando una persona che conosca lo Spagnolo … e l’Italiano.
A Google le dicono tuttavia che non possono sponsorizzarle la green card
, e quindi dopo un anno Magda si troverebbe a spasso e costretta a lasciare il Paese: ma Google e San Franscisco, o forse l’ebbrezza del salto nel vuoto, o forse la paura di fermarsi, di fossilizzarsi, dopo tanti movimenti – la portano a rifiutare il lavoro da sogno e accettare la proposta di Google.
“Per Google io facevo il filtro per l’Italia e i paesi di lingua spagnola. Ovvero il collante tra gli avvocati e gli ingegneri di Google e gli utenti: selezionavo e trasmettevo le richieste degli utenti, notifiche legali o aiuti tecnici, agli avvocati o agli ingegneri”. E San Francisco si rivela una città fantastica, dove tutto è possibile, e per la prima volta in vita sua Magdalena si rilassa, si diverte
,
Passato un anno, succede una di quelle cose che fan pensare che nella vita bisogna seguire istinto e passione, e non calcolare nulla: Google apre una sede a Dublino, e a Magda, che non ha più un visto americano ma possiede il passaporto italiano, propongono di continuare a fare lo stesso lavoro da Dublino: “Nel giugno 2011 arrivo a Dublino alle sei di mattina, salgo su un taxi, e vado al mio nuovo appartamento per conoscere la mia nuova co-inquilina: ovviamente Italiana, di Procida”. A Dublino le affidano altre responsabilità – trovare il personale, fare il training: diventa manager del team dublinese di Google.
“Lavorare a Google è fenomenale: ti danno tutto perchè tu non debba pensare ad altro che al lavoro. Ti trattano benissimo perchè questa è la loro cultura e perchè è il modo migliore per farti crescere e tenerti.
E i Dublinesi?
“Gentilissimi ma socialmente incompetenti. Gli uomini non ti guardano mai. Non mi trucco nemmeno, perchè tanto, fino alle due di notte, quando sono ubriachi, non ti rivolgono nemmeno la parola. Loro dicono di esser timidi, lack of confidence
(insicurezza), forse per ragioni storiche: sono un popolo che ha sofferto molto e che non si è mai mescolato ad altre culture fino a tempi recentissimi”.
Ma, le ricordo, loro così piccolini e insicuri, hanno prodotto una letteratura eccezionale.
“Questo lo capisco: è un clima che ti uccide o ti ispira. O ti ubriachi o scrivi, o entrambe le cose. È un paesaggio molto bello ma molto malinconico. Non è che faccia sempre freddo: non fa mai caldo. E piove sempre”.
Accompagno la mia cara, altissima ex-studentessa verso la macchina. Mi dice che se un giorno avrà tanti soldi, vorrebbe comprarsi un appartamento a San Francisco, ma allo stesso tempo, dopo tanti traslochi, teme la stabilità, ed ha cara la propria libertà di potersi staccare da un luogo in qualsiasi momento. Ma dell’Argentina, Magda, cosa ti manca dell’Argentina?
“I sandwich de miga.
I vostri tramezzini. Anche se sono sicura che prima o poi scoprirò che sono Italiani anche quelli…”.

(di Emanuele Pettener)

 

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