Bruno Pompili, Il profumo di Dick Moby

Di Moby Dick Salvatore Rosati disse: il carattere dell’opera sembra attirarsi addosso le esercitazioni degli interpreti”. Quella di Bruno Pompili, se è più variazione sul tema che interpretazione, ricade comunque nell’ambito delineato dal compianto anglista, e risente della suggestione, del fascino che la creazione e la creatura di Melville sono venute esercitando con crescente reputazione nel corso di questo secolo.
Qui il punto di vista è rovesciato. Siamo dalla parte dell’animale, osserviamo attraverso i suoi occhi, ne conosciamo le riflessioni e perfino le elucubrazioni, ne sperimentiamo l’incomprensione del comportamento umano: “Mi sono meritata il titolo: crudele. Non capisco esattamente cosa voglia dire”: “Oh, gli uomini! Il mare deve essere per loro come la montagna per me “.

Verrebbe da pensare a una nota poesia inglese del contemporaneo Craig Raine, “Un marziano invia a casa una cartolina”, in cui l’alieno descrive stupefatto oggetti e gesti che per i terricoli sono quotidiani e scontati. Ma la balena di Pompili è anche una entità consapevole di sé, della propria diversità rispetto al branco – diversità di pelle (bianca!), di indole, incline alla solitudine. Così, se da un lato il soggetto delle riflessioni è sospinto in un’ottica straniata, dall’altro viene umanizzato. E umanizzandosi in lingua italiana acquista una connotazione particolare: mentre nell’inglese il famoso capodoglio albino, simbolo di forza cieca e dirompente, è maschile nel genere, e torna come tale nei valori emblematici del suo stesso nome (diminutivo di Richard e reale nomignolo di un leggendario cetaceo bianco anche prima di Melville, Dick in inglese è sinonimo volgare di ‘fallo ” e, come abbreviativo di “dickens”, è eufemismo di “diavolo”), in italiano la Dick Moby di Pompili è una creatura femminile efemminea, destinata a un fatale e finale incontro d’amore-odio con il suo cacciatore spietato.

Nel monologo di Pompili, essa parte dalla tenerezza inconsapevole dell’infanzia (“Mi piacerebbe essere più aggraziata. Poter essere accarezzata”), giunge a percepire se stessa e l’immagine che gli altri le hanno attribuito (“… i miei hanno cercato di liberarsi di me, di mandarmi a secco… Non avrebbero mai ammesso che ero diversa, e che non mi volevano”), fino a realizzare il proprio ruolo e accettarlo in tutta la sua terribilità: “Sarò una montagna che nasce all’improvviso dal mare… e inabissandomi salirà una colonna d’acqua impensabile… Oh, Achab, che gran giorno quando ti porterò con me, e dopo il primo tuffo torneremo su per lasciare un ultimo saluto al tuo branco sbalordito. Hai ancora tre giorni per sognarmi”.

Ricerca del senso della vita e di sé
, angoscia della crescita, angoscia della ricerca, volontà di sogno, dolorosa conquista della consapevolezza sono infatti i sottintesi di questa originale e sofisticata parabola inventata da Bruno Pompili, a riprova della fertilità mitopoietica insita nella grande epica di Melville.

 

(dalla prefazione di Cosma Siani)

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