Breve invettiva contro le nostalgie generazionali
Trovo così stucchevole questo continuo masturbarsi sul com’eravamo, i migliori anni della nostra vita e via dicendo, che ormai da anni saturano i nostri teleschermi, le nostre televite. Nostalgia a buon mercato, ironia in sconto comitiva, narcisismo tre per uno: noi che, noi che, noi che. L’egocentrismo di chi dice sempre io è irritante, ma l’egocentrismo di chi dice noi è patetico: talmente fiacchi da doversi aggrappare a una generazione, qualunque sia, per sentirsi importanti. A rievocare poi chissà quale semplicità di modi, usi, costumi, a rievocare chissà quale ingenuità, fanciullezze perdute, happy days, un tempo dell’oro che non è mai esistito – è solo il riflesso di latta di una memoria scarsa di fantasia, l’invenzione maldestra di chi, non sapendo inventarsi il presente, s’inventa il passato.
Il fatto che a vent’anni, per sentirsi unici e speciali, ci si aggreghi al branco e si persegua un’identità originale attraverso una serie di cliché, fa parte della meravigliosa stupidità di quell’età; che a quaranta, per trovarsi una personalità, ci si aggreghi a una generazione – significa che il tempo è passato invano. (Che poi il tempo passi sempre invano è un altro discorso, ma perché renderlo pubblico?)
La nostalgia dovrebbe essere un sentimento dolce e privato. Il battito d’ali di una farfalla, probabilmente gialla. Di cui non parlare, nemmeno con la persona amata, per non farla evaporare: sentimento docile, languido, romantico e delicato, da tenere per sé, conservare con grazia. Se lo si fa uscire, se lo si rende pubblico e soprattutto collettivo, diventa sentimentalismo, un sentimentalismo farcito dalle tinte kitsch del narcisismo.
O falangi di Peter Pan, mi avete così rotto le palle!