Al di là della trama
Ho letto il manoscritto di Quella solitudine immensa di amarti solo io in quasi sei ore filate. Il che vuol dire già qualcosa. Ne sono uscito con gli occhi che bruciavano e un appagamento totale: roba che mi fumo una sigaretta. Devo dire: sono incline alla commedia, e quindi inizialmente un po’ spaventato da questa storia di neo-genitori, di guerra tra una madre e una figlia, di infelicità (ma con un ostinato desiderio di felicità che percorre ogni pagina, con una speranza mai doma che illumina l’intero testo). Comunque, infischiandosene dei miei pregiudizi, questo romanzo mi ha tirato dentro dalla prima riga, immerso nella torrida Milano d’estate, alle prese con un neonato e il misterioso passato dei due protagonisti.
Ma, al di là della trama coinvolgente, cosa mi ha lasciato così ammirato – anzi, felice?
Il fatto che ogni singola frase respiri a pieno, grazie anche al perfetto senso della punteggiatura, e ogni frase sia così carica di energia: stilla sangue. Però questo dolore è sincero – eccessivo, nero, dolore di depressione, ma mai nemmeno per mezza riga disonesto; non sbava, non sbrodola, non indulge in similitudini sbagliate, in artificio letterario, in “letteraturizzazione”, in kitsch – come in diversi romanzi recenti, anche best-seller. No, qui le parole penetrano nel dolore, e il dolore le restituisce nitide, le rende vitali.
È una lettura che disturba, che tocca, ma che pure esalta per bellezza, per fulgore, per pienezza. E se ne esce rigenerati. Per questo l’ho proposta all’editore – e quando al mio entusiasmo è corrisposto il suo, abbiamo capito che Quella solitudine immensa di amarti solo io sarebbe stato il primo libro del nuovo Priamo: perché l’entusiasmo assoluto per un testo è l’unico criterio che ci siam posti per pubblicarlo e condividerlo.