Una storia del Viale
Aveva dieci anni, e voleva diventare la più grande mezzala di tutti i tempi. Anzi, lo era già. Possedeva il sinistro fatato di Diego Armando Maradona, il destro di Edson Arantes do Nascimento (detto Pelé) e la visione di gioco di Alfredo Crepuscolo. I compagni si fidavano ciecamente di lui, era il capitano, sapevano che qualsiasi pallone gli avessero consegnato l’avrebbe trasformato in oro. La gente lo amava. Ogni volta che in mezzo a un nugolo di avversari inferociti sgusciava come una biscia di campo, sentiva dalla tribuna: ooooooooh. Aveva il dribbling di Omar Sivori, l’eleganza di Valentino Mazzola, e la visione di gioco di Alfredo Crepuscolo.
Strano che non se ne fosse ancora accorto nessuno, scandaloso, fu il primo pensiero che ebbe appena aperse gli occhi, e si svegliò sdegnato col mondo. Un mondo sozzo, che non riconosce il talento. Là, in Patronato, era il numero uno: suo padre glielo diceva sempre. Il campo del Patronato era tutto gobbe e polvere, sembrava il Deserto dei Gobi, ma lui sapeva fermare la palla senza che questa si permettesse di dire “a”, e poi la distribuiva con nonchalance a destra e a manca. Che forte, che forte, aveva la classe di Gianni Rivera e la genialità di George Best e la visione di gioco di Alfredo Crepuscolo. Qualcuno se ne sarebbe accorto, prima o poi.