Il buco che ho nel cuore ha la tua forma
L’esordio letterario di Eleonora Molisani è spiazzante: intriso di una moralità impressionante. Una moralità che si definisce attraverso una specie di legge del contrappasso: ci costringe a immergerci nel mondo rovescio, quello che preferiremmo non conoscere o per lo meno preferiremmo riconoscere come altro, rispetto a quello che sentiamo appartenerci, quello presunto normale, quello dei buoni sentimenti e degli eroi, anche quelli di tutti i giorni, e delle spose fedeli, o delle madri coraggio, dei padri indefessi onesti lavoratori, tutti gente a posto come quella gente estinta che tratteggiano i necrologi, sempre salvifici.
Ma se la cosiddetta normalità, io dico, non è altro che una media, allora ben vengano le storie drammatiche di Eleonora Molisani. Ventuno racconti tesi, da non consigliare ai minori o a quelli che sono configurati per accomodarsi in un universo Disney. E un ventiduesimo gioco di parole, leggero che pare discostarsi dall’atmosfera satura di incomprensione, prevaricazioni, miti positivi che poi si rivelano miti mostruosi: quasi un estremo tentativo di ridimensionare rivelazioni opprimenti e stemperarle nella dimensione astratta delle parole su carta.