Dogo Villalta
Un bel nome, sì: per chi lo vedeva da fuori o veniva da lontano. Nel paese, non si chiedevano tante cose: come perché cosa, a volte quando. Si era sempre chiamato così, e basta.
Poteva avere tutti i difetti che uno vuole, ma su di una cosa erano tutti d’accordo, come se sapessero veramente solo quella. La gentilezza.
Diceva buongiorno a tutti, passando o incrociando con la sua bicicletta. Qualcuno era così sorpreso che non faceva in tempo a rispondere. La volta dopo sarebbe stato più attento, ma ci cascava egualmente: Dogo Villalta era così rapido che ti metteva sempre sotto scacco, quando non te l’aspettavi era già passato oltre. E non sembrava. Dovevi imparare ad anticiparlo.
Il dubbio poi cominciò a girare. Era importante, e significativo, era garanzia di autenticità, vera bonomia, dire buongiorno a tutti? O non era piuttosto un vezzo: distinguersi; gli era forse necessario; o alla fine era un far pesare su dei normali paesani la sua superiorità. Il dubbio girava poco, ma girava. Per la maggior parte della gente il problema non c’era proprio: come arrivare anche solo a pensarlo. Chi ci faceva veramente caso, adesso. E dov’era il tempo.
Al limite, potevi non rispondere. C’era altro a cui stare attenti: problemi veri; quelli che non hanno soluzione.