La meraviglia della semplicità
In un mondo dominato dalla retorica e dagli effetti speciali, la lettura dell’opera di Mario Rigoni Stern ci aiuta a ritornare ad una dimensione umana. A partire dal Sergente nella neve, fino ad arrivare all’Ultima partita a carte, il ritmo della narrazione segue una cadenza naturale. I pochi temi, quali la guerra, la memoria, gli uomini, la natura e le stagioni, che vengono continuamente ripresi e rielaborati, nascono da un sentimento naturale dell’esistenza.
Ciò che colpisce e che rappresenta il valore aggiunto della sua letteratura è la straordinaria corrispondenza tra le parole e le cose. La semplicità del suo lessico, che è stata più volte criticata, non è sinonimo di trascuratezza o di ingenuità, ma al contrario, riflette una visione del mondo priva di orpelli e di artifici. Nell’intervista con Milani, Stern afferma: “Certo che sono uno scrittore semplice, ma questa semplicità dipende dal fatto che voglio che il mio lettore capisca quello che dico. Uso termini specifici soltanto dove parlo di animali o di botanica, perché se parlo di un albero non posso usare termini impropri derivati, magari, dall’uso improprio che ne fa la gente.” Sempre a tale proposito, Stern racconta un particolare della vicenda editoriale del Sergente, del quale sono note le numerose correzioni di Vittorini. Una di queste constò nella sostituzione della parola “semola” con la parola “crusca”. Dopo aver controllato nel Palazzi, nel Devoto-Oli e in altri celebri dizionari, Stern si rese conto del fatto che la parola che aveva usato andava bene e che quella di Vittorini era un’interpretazione personale.